In un mondo che chiede immediatezza, velocità e prontezza a prova di riflessi, vale forse la pena fermarsi un poco e riscoprire il valore della lentezza.
Spesso mi è capitato di leggere dei post dal titolo “i bambini hanno diritto di lentezza”. Assolutamente vero per quanto mi riguarda.
Ma gli adulti ne hanno altrettanto bisogno?
Certo che si.
Il punto è cercare di capire cosa comporta fermarsi o quanto meno rallentare.
Prendiamo un esempio: se siamo impegnati in una corsa a tempo, la nostra attenzione sarà focalizzata sul respiro, le pulsazioni, la tenuta delle gambe e, per l’appunto, il tempo.
Quando ci ritroviamo nello stesso luogo per una passeggiata, i dettagli che possiamo cogliere di ciò che ci circonda sono molti di più: colori, odori, suoni, che su ciascuno di noi avranno un impatto del tutto soggettivo.
So bene che spesso le ‘esperienze di velocità’ lasciano dentro un’adrenalina più che piacevole, e so anche che la vita lavorativa, sociale e familiare concedono poco spazio di manovra. Ma la realtà è che per sentire, e sentire davvero, è necessario rallentare.
Con l’espressione rallentare non mi riferisco necessariamente ai ritmi di vita (quello non sempre è possibile), quanto più al nostro personalissimo approccio alla vita.
Scrivo questo perché credo che spesso la frenesia che il mondo ci impone diventi un vero e proprio rifugio che ci consente di non pensare, non ascoltarci e non sentire.
Cosa mai ci sarà da sentire? La risposta più immediata che mi sembra di poter dare è ‘noi stessi’.
Allenarsi a sentire ciò che emotivamente viviamo di certo non ci preserverà da crisi e cadute (quelle quando arrivano arrivano, e a quel punto ci si deve fermare per forza!). Ma sarà uno strumento decisamente utile per ritrovare la bussola
proprio in quei momenti di fatica e, perché no, per godersela un po’ quando invece le cose vanno bene.
Perché forse Freccia non aveva tutti i torti quando alla radio diceva che “da te stesso non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx” (Radiofreccia, 1998)