Se pensiamo a un impostore immaginiamo una persona disonesta, scorretta e imbrogliona. E invece chi soffre di questa condizione psicologica, che è stata definita tale nel 1978 dalle psicologhe Pauline Clance e Susanne Imes, è tutt’altro che questo.
Si tratta di persone che tendenzialmente godono di un elevato livello di realizzazione professionale e, pur a fronte dei riscontri esterni positivi, hanno la radicata sensazione di non avere alcun merito del proprio successo, attribuito generalmente alla fortuna, al caso o alle occasioni favorevoli.
Queste persone sembrano essere molto convinte nel viversi come ‘impostori’ per l’appunto nei confronti di chi invece continua a riconoscere i loro meriti oggettivi. Si sentono inadeguati e non meritevoli dei risultati e dei riconoscimenti ottenuti spesso con grande impegno, dedizione e capacità.
Secondo le psicologhe è una condizione molto comune: dopo tutto, a chi di noi non è mai accaduto di non sentirsi all’altezza o di sentirsi addirittura inadeguato rispetto ad un compito? Per alcune persone tuttavia diventa una condizione stabile, che certamente nel tempo può diventare anche disturbante.
Perché allora tutto questo subbuglio e questa sofferenza in persone tanto capaci?
Si tratta tendenzialmente di persone diligenti che si impegnano molto in ciò che fanno, con un elevato senso del dovere e uno spiccato livello di sensibilità rispetto alle aspettative altrui.
E ciò che può sembrare paradossale – ma di fatto non lo è – è che raggiungere nuovi obiettivi o acquisire ulteriori rimandi positivi dall’esterno non placa l’inquietudine dell’impostore; anzi a volte può addirittura portarla a crescere. Un po’ come se venisse a mancare quella voce interiore in grado di calmare i tormenti e di accettarsi così come si è.
Mi colpisce molto la sensazione di non essere all’altezza delle aspettative; la domanda che mi pongo è: di quali attese?
Il giudice interno di queste persone pare essere il più severo in assoluto e non c’è spiegazione o ragionamento che tenga. E allora da lì si può partire, nel cercare di capire da dove possa arrivare quel giudice così spietato che fa dubitare anche dell’oggettività riguardo a se stessi. Ognuno ha la sua storia, ma di certo per star meglio occorre dare uno sguardo dentro di sé.
A questo proposito mi torna alla mente una canzone molto bella di Niccolò Fabi che dice che
“tra la partenza e il traguardo
Nel mezzo c’è tutto il resto
e tutto il resto è giorno dopo giorno
e giorno dopo giorno è
silenziosamente costruire
e costruire è potere
e sapere rinunciare alla perfezione”
Testo provocatorio e così vero a mio parere.
Chissà, forse è solo potendo rinunciare alla propria idea quasi spietata di perfezione che si può avere accesso alle proprie reali possibilità, potendone finalmente beneficiare.
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