“Che tu abbia la pagoda, o la tenda dei Sioux
Una casa è la tua casa quando dentro ci sei tu”
(La mia casa, Zecchino d’Oro 2014)
Chi vive da expat conosce bene quel groviglio interiore e quell’immancabile senso di vuoto collegati al ‘non sentirsi a casa’. Ma conosce anche il sapore della soddisfazione che si prova scoprendosi un pochino più comodi in un luogo fino a pochi momenti prima vissuto come estraneo.
Cambiare ‘casa’ a trecentosessanta gradi è un cambiamento importante e i modi di affrontarlo sono molto personali. C’è chi si prepara cercando di immaginare con anticipo come sarà, chi si butta facendo e basta, chi si concentra sulla parte pratica e organizzativa del trasferimento, o ancora chi decide e parte nel giro di una settimana.
Tutti però dobbiamo fare i conti con un aspetto importante. Per quanto la nostra mente possa essere abitata da desideri, convinzioni e tentativi di prefigurarsi ‘come sarà’, nel presente di ciò che viviamo ci sono inevitabilmente (e per fortuna!) variabili che non avevamo considerato e che ci troviamo ad affrontare e vivere. Variabili che segnano una strada più o meno diversa dalle nostre aspettative; diversa, e certamente reale.
Come sopravvivere a una transizione così potente?
Esiste infatti un tempo di pura sospensione, che si può collocare quando si è camminato quel tanto che basta per essere sufficientemente lontani dal luogo da cui si è partiti, ma non ancora abbastanza per sentirsi veramente vicini con il luogo in cui ci si trova.
È il tempo dell’instabilità e della scoperta, della curiosità e della nostalgia. È anche un tempo in cui si sperimenta quel senso di vuoto (o chissà per alcuni magari di ‘tutto pieno’) a cui accennavo nelle prime righe. Un tempo che a mio parere tiene insieme grandi domande che hanno a che fare con il “come stiamo” ma anche con il “chi siamo”.
Il contesto in cui viviamo ci offre una cornice per definire meglio chi siamo noi; ci può piacere o non piacere per nulla, ma di fatto ci condiziona. Venendo a mancare quell’ambiente così familiare che è il nostro paese di origine è possibile, e molto comune, rimanere destabilizzati; e questo può accadere anche quando il cambiamento è stato desiderato fortemente.
È proprio in queste occasioni, così come spesso accade nelle fasi di transizione, che vale la pena realizzare che la casa più accogliente che abbiamo siamo noi stessi. E se vogliamo avere un po’ di compagnia e di comprensione bisognerà aprire la porta di quella casa, dare un’occhiata al suo stato e piano piano accogliere e attraversare quel groviglio emozionale che tiene insieme i sentimenti più diversi.
A quel punto sarà possibile mettersi comodi, più o meno soddisfatti della strada percorsa, ma certamente più consapevoli di sé e quindi pronti per nuove scelte.